Il borgo
di Gianluca Zavaglia, 30 settembre 1992
D’un tratto un insieme di pensieri mi assalgono, come un grumo denso di
parole e voci e situazioni e vicende, mi gira in testa, scompare, riappare
dietro l’angolo, si avvicina per nuovamente allontanarsi da me,
inspiegabile capriccio.
Minuti prima così tranquillo, disposto al dialogo e con la mente pulita da
qualsivoglia insinuazione, da qualunque calcolo; semplicemente ero lì e in
quel momento, presente nello spazio e nel tempo. Vorticosamente qualcosa mi
chiamava e io ubbidivo, non volevo ma il gioco era piacevole, mi
trasportava sulle ali dei pensieri e nel turbine di questi ultimi tutto
entrava, nulla usciva.
Senza rendermi conto quasi, a sprazzi avevo visione d’insieme, cercavo di
ricordare altri momenti simili già da me vissuti ma ciò mi ricadeva nelle
pieghe della mente e subitamente andava disperso in quella voragine da cui
istantaneamente emergevano nuove domande, nuove risposte.
Di una sensazione di fatica, quella prova mi consumava, mi schiacciava al suolo;
pesante nel suo essere ma intangibile: potenza degli esseri tutti.
Trasparente a lampi io mi sentiva e istintivamente seguendo la via, che ora
mi chiedo se secoli fa io passava per quelle vie e d’altri tempi le genti
salutavan col gesto tipico del posto. Di sapore medioevale ancora ai giorni
nostri, ricordo nei gorghi insistiti del mio pensar generalmente,
trascinato giù dalla pietra, giù fino in fondo all’esistenza. Giù.